Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, agosto 07, 2005

Colloquio con Roman Vlad

Roman Vlad
La melodia un segno riconoscibile.

Melodia è, in senso fisico, una successione di suoni di varia altezza. Anche ad una scala, a un semplice arpeggio, si può applicare questa definizione; eppure non si parla di melodie. Quale passaggio li renderebbe tali?
Intanto, tutte le melodie sono costituite da segmenti più o meno estesi di scale o di accordi arpeggiati. Una bellissima melodia inizia il 2° tempo del Concerto per 2 violini e orchestra di Bach, e non è altro che una scala discendente di Fa maggiore; un esempio che spiega come avvenga la promozione a melodia: grazie alla struttura ritmica che sottende la successione di note in modo che non venga dato subito all'ascoltatore quello che si aspetta. Si stabilisce un'articolazione: l'inciso, cioè lo spunto, ritmico, sì sposa a quello melodico.
Il ruolo del ritmo lo avvertiamo anche in un testo messo in musica.
La melodia nasce come canto monodico, canto a una sola voce, in stretta connessione con la parola. Nel canto gregoriano confluiscono i risultati di una millenaria tradizione melodica, che include l'area della cultura mediterranea, del Medio e Vicino Oriente...
L'avvento della polifonia, scrittura musicale a più voci, ha in qualche modo sacrificato la melodia?
In origine, no; è stata istituita proprio per permettere la nascita di nuove melodie. I canti gregoriani erano detti «canti fermi» perché non si potevano modificare; nacque allora il contrappunto, dove ad ogni nota d'una linea melodica veniva sovrapposta cioè intonata contemporaneamente da un'altra voce - una nota diversa, fino a formare un'altra linea melodica. Se però la polifonia da mezzo diventa fine, come in certe composizioni cinquecentesche a 24, 48, 60 voci, la melodia va a farsi benedire; ma perlomeno nella scrittura a quattro parti, ogni voce deve possedere una sua autonomia melodica. Insomma, l'armonia nasceva come corollario, per rendere la melodia più idonea e felice. C'è poi l'eterofonia, una loro congiunzione particolare; ad esempio l'attacco della «Danza Russa» in Petruska di Stravínski: la melodia è semplicemente riprodotta, conservando gli intervalli, in una fascia superiore o inferiore; è una melodia ispessita, che sembra armonizzata.
Monodia, polifonia... Come prosegue l'evoluzìone?
Vediamo altre tappe. Monteverdi ha l'ideale del "recitar cantando"; la sua melodia aderisce dunque alle parole, per esaltarne il significato; la forma è quella del recitativo: molte ripetizioni della stessa nota, scansione sillabica. Il recitativo può distendersi e diventare un arioso, e l'arioso è matrice dell'aria. Se prendiamo le arie di Rossini, illustrano chiaramente il concetto di «belcanto». Che non è canto bello, ma melodia ornata. Si parla anche di coloratura, perché le note di ornamento sono rapide e dunque sul pentaprisma "colorate" di nero, per distinguerle da quelle bianche, più lunghe. Anche Bellini, genio della melodia, era un belcantista; era simile a Chopin che, nell'ambito strumentale suo proprio, ornava molto le sue melodie. Mai come Liszt però: aggiungeva fioriture persino a Chopin.
Melodia vocale, melodia strumentale. Ci sono caratteri differenti?
Certo, legati all'esecuzione concreta. La melodia vocale deve accettare i limiti di estensione dell'organo vocale: dunque, avremo intervalli relativamente esigui; una voce non potrebbe eseguire il passo del primo tempo del Concerto per fagotto dì Mozart, si bemolle e subito si bemolle tre ottave sopra. D'altra parte, la melodia strumentale si conforma alla tecnica propria di ogni strumento. La grande divaricazione degli intervalli per la voce, come nella musìca della seconda scuola di Vienna, può diventare mezzo espressivo e fattore dì tensione: perché l'ascoltatore percepisce le difficoltà di intonazione.
Il compositore agisce dunque sulla melodia. Eppure noi pensiamo che sia un dono innato, di spontaneità.
Prendiamo l'esempio dell'attacco della Quinta di Beethoven; quale tema sembra più spontaneo? Eppure ci sono più di quaranta abbozzi. Non è per nulla facile trovare una melodia soddisfacente; c'è tutto un lavoro consapevole, e in parte inconscio. La mia melodia sull'incipit di Immer Wieder, che considero molto riuscita, mi è arrivata in sogno. E' un lavoro anche simile a quanto non si riesce a ricordare una cosa, che tornerà in mente quando non la si aspetta.
Ci sono dunque dei procedimenti compositivi legati alla melodia?
Vediamone alcuni. Nel canone, la melodia si sovrappone a se stessa, inseguendosi da una voce all'altra. Nell'Aida di Verdi, la stupenda melodia del duetto finale è costruita con l'intervallo più grande inferiore all'ottava, la settima maggiore, subito seguito dal più piccolo, la seconda minore, poi da una quarta, e intervalli sempre più piccoli, come una spirale sempre più intima intorno al cuore del soggetto. Nella forma-sonata abbiamo due temi di carattere contrastante, in rapporto dialettico: ad esempio se uno è a prevalenza melodica, l'altro avrà spiccato carattere ritmico. Si dà anche il caso di una cellula generatrice, che chiamiamo "Ur-Motiv", motivo originario, che può stare alla base di più temi. Questa cellula ho scoperto essere in Schubert, spesso, una successione di tre note adiacenti, trasposte poi ad altri toni, o trattate con motivi ritmici. Il dattilo, un suono lungo e due brevi, è per Schubert un metro fondamentale: quello del Lied la Morte e la Fanciulla, persino dell'intera Wanderer-Phantasie. La struttura metrica si contrappone all'accentuazione ritmica: Karajan diceva in una prova agli archi, per l'attacco del secondo tempo della Quinta di Beethoven, di non abbassare il gomito, per evitare gli accenti ed esaltare la semplice durata delle note.
Vi sono espedienti per manifestare uno stato d'animo determinato?
D'istinto, si è creata la relazione salire - al cielo, discendere - all'inferno, ma si trovano melodie discendenti eppure celestiali. Wagner usa il "Leit-Motiv", motivo conduttore, e lo riprende per riferirsi a un personaggio, a un'idea, a un sentimento, che sono di volta in volta legati al loro proprio "Leit-Motiv".
Noi dimostriamo di assimilare i procedimenti quando sappiamo "dove va a finire" una melodia; ma non sempre lo sappiamo. Si può parlare di una crescente complessità della melodia?
Sì, nell'ambito dei rapporti con l'armonia. Haydn affermava: «ogni buona melodia contiene in sé la sua armonia». Per Debussy, molti anni dopo, dovremmo dire viceversa. Ma solitamente, prima di Debussy, una melodia veniva armonizzata secondo certi canoni di appartenenza a una determinata tonalità. Invece ad esempio Liszt, nella sua Tredicesima Rapsodia per pianoforte armonizza ogni nota della Marcia Racoczy secondo accordi di tonalità diverse, e solo in un secondo tempo ripristina l'armonizzazione propria. Bartòk svilupperà questa tecnica in relazione ai canti popolari. Ancora sui rapporti melodia-armonia: un caso lampante di melodia implicita nell'armonia è quello del Primo Preludio dal primo libro del Clavicembalo ben temperato di Bach: la sentiamo tra le note dei puri accordi arpeggiati; Gounod, sovrapponendo la sua Ave Maria, ha svilito un'idea preziosa.
Per complessità, volevo intendere anche una difficile relazione con la memoria. Insomma, capita più spesso di fischiettare Mozart che Webern.
Non è un argomento. Provi Lei a fischiettare il passo dei Concerto di Mozart che ho citato prima. Con una serie di fischietti o di fischiettatori, va benissimo anche Webern. Si tratta di assimilazione; gli jodler dei montanari svizzeri o tirolesi ci paion difficili da riprodurre per gli intervalli strani. Sembra che questi ultimi siano favoriti dall'aria rarefatta dell'altipiano: non vi sono più settime e none, intervalli 'difficili', che nella musica degli Incas. Comunque, gli intervalli che meglio ricordiamo sono quelli più facili da intonare; e la memoria di una melodia è sempre aiutata dal suo ritmo.
Si può parlare di crisi della melodia nella musica contemporanea?
E' una crisi che tende più largamente alla negazione dell'intervallo, base indispensabile della melodia. Chopin la preavvisava a metà dell'800: nessun pianista sensibile eseguirebbe la successione di none nella Berceuse come accordi dissonanti: è invece la ricerca di un nuovo amalgama. Il Jazz preferisce il glissando tra due note all'intervallo puro; e lo Sprechgesang, come nel Pierrot Lunaire di Schónberg, l'intervallo parlato, meno preciso. Crisi non solo orizzontale, tra note successive, ma anche verticale, tra note costituenti un'armonia. Perché con la dodecafonia si è esaurito il potenziale armonico e melodico del sistema temperato.
Per concludere, non tentiamo riassunti; un'ultima osservazione.
Ecco, nelle Variazioni per pianoforte op.27 di Webern, al centro del primo brano, la mano destra deve suonare una nota all'estrema sinistra della tastiera, e viceversa subito dopo. E' un aspetto di visualizzazione gestuale della melodia: allora, non si tratta di limitarsi ad ascoltare un disco.

intervista di Maria Majno (Musica Viva, Anno III n.1, gennaio 1979)

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